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Nella foto: scarpene

La pesca del FVG a Rimini

Il Friuli Venezia Giulia "pesca" le innumerevoli sfumature del territorio e le porta a Rimini dal 23 al 26 febbraio. Per il terzo anno consecutivo, le Associazioni e i Consorzi dei settori ittico e agroalimentare del Friuli Venezia Giulia partecipano al RHEX - Rimini Horeca Expo, l'evento organizzato nei padiglioni dell'ente fieristico di Rimini. Il nuovo format del Salone, nato dall'unione delle due manifestazioni già dedicate al settore enogastronomico e intitolate SIA GUEST e SAPORE, si configura come puntuale risposta all'evoluzione dei mercati di riferimento e rappresenta un'occasione di incontro tra le diverse categorie di operatori, le tendenze del gusto e le esigenze dei consumatori, con il fine di coprire le più vaste e complete aree tematiche dell'ospitalità.

In tale contesto, la partecipazione dei produttori del Friuli Venezia Giulia coordinati da ERSA, l'Agenzia regionale per lo sviluppo rurale, vede la promozione dei sapori e delle eccellenze agroalimentari del paniere Tipicamente friulano, con una prelibata dominanza dei prodotti ittici derivati dalla pesca in mare, dall'acquacoltura e dalla ruralità del territorio più ad Est d'Italia.

Nello spazio riservato al Friuli Venezia Giulia sono rappresentati: La Blave di Mortean, il Consorzio per la tutela e la valorizzazione del Figo Moro da Caneva e Friulmont, accompagnati dalle infinite declinazioni di pesci di straordinaria qualità come la Trota Friulana, le orate e i branzini, i fasolari, svariate specie di molluschi, unitamente a molti altri prodotti proposti da una forte rappresentanza di organizzazioni inerenti la pesca e l'acquacoltura regionali.

Saranno presenti la Società Cooperativa A.L.MAR., Acquacoltura Lagunare Marinetta, l'Associazione Allevatori Trota Friulana, l'Agroittica Friulana, l'Associazione Piscicoltori Italiani API, il Consorzio per la gestione della pesca dei molluschi bivalvi nel compartimento marittimo di Monfalcone CO.GE.MO. e la Società Cooperativa Agricola Le Lagune, che riunisce coloro che praticano l'allevamento semintensivo dei pesci nelle valli da pesca dell'area lagunare della regione, secondo una modalità che prevede lo sfruttamento dell'alternarsi delle maree nel totale rispetto delle caratteristiche naturali dell'ambiente in cui si pratica.

Si tratta di un'occasione unica per far conoscere la ricchissima e pregiata varietà dei prodotti ittici di acqua dolce e salmastra della regione, abbinati ai prodotti agroalimentari dell'intero territorio regionale secondo la strategia promozionale identificata dal bollo Tipicamente friulano. A tal fine è stata allestita una sala degustazioni organizzata per offrire fino a quattro appuntamenti al giorno, tutti dedicati alla proposta di inediti e sorprendenti preparazioni ottenute dalla combinazione delle eccellenze del Friuli Venezia Giulia.

A ogni piatto viene abbinato una tipologia di vino, individuato tra i migliori del Friuli Venezia Giulia. Di elevatissimo livello è la selezione di Friulano (ex Tocai), icona vitivinicola di un territorio riconosciuto nel mondo per la produzione di grandi bianchi e prodotto in regione da oltre un migliaio di aziende dall'antica tradizione enologica.
Il fitto programma delle degustazioni prende il via sabato 23 febbraio alle 12.00, in concomitanza con l'inaugurazione dello spazio istituzionale dedicato al Tipicamente friulano

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FriuliVG pesca le sfumature del territorio

Il Friuli Venezia Giulia "pesca" le innumerevoli sfumature del territorio e le porta a Rimini dal 23 al 26 febbraio 2013. Per il terzo anno consecutivo, le Associazioni e i Consorzi dei settori ittico e agroalimentare del Friuli Venezia Giulia partecipano al RHEX - Rimini Horeca Expo, l'evento organizzato nei padiglioni dell'ente fieristico di Rimini da sabato 23 a martedì 26 febbraio 2013.

Il nuovo format del Salone, nato dall'unione delle due manifestazioni già dedicate al settore enogastronomico e intitolate SIA GUEST e SAPORE, si configura come puntuale risposta all'evoluzione dei mercati di riferimento e rappresenta un'occasione di incontro tra le diverse categorie di operatori, le tendenze del gusto e le esigenze dei consumatori, con il fine di coprire le più vaste e complete aree tematiche dell'ospitalità.

In tale contesto, la partecipazione dei produttori del Friuli Venezia Giulia coordinati da ERSA, l'Agenzia regionale per lo sviluppo rurale, vede la promozione dei sapori e delle eccellenze agroalimentari del paniere Tipicamente friulano, con una prelibata dominanza dei prodotti ittici derivati dalla pesca in mare, dall'acquacoltura e dalla ruralità del territorio più ad Est d'Italia.

Nello spazio riservato al Friuli Venezia Giulia sono rappresentati: La Blave di Mortean, il Consorzio per la tutela e la valorizzazione del Figo Moro da Caneva e Friulmont, accompagnati dalle infinite declinazioni di pesci di straordinaria qualità come la Trota Friulana, le orate e i branzini, i fasolari, svariate specie di molluschi, unitamente a molti altri prodotti proposti da una forte rappresentanza di organizzazioni inerenti la pesca e l'acquacoltura regionali.

Saranno presenti la Società Cooperativa A.L.MAR., Acquacoltura Lagunare Marinetta, l'Associazione Allevatori Trota Friulana, l'Agroittica Friulana, l'Associazione Piscicoltori Italiani API, il Consorzio per la gestione della pesca dei molluschi bivalvi nel compartimento marittimo di Monfalcone CO.GE.MO. e la Società Cooperativa Agricola Le Lagune, che riunisce coloro che praticano l'allevamento semintensivo dei pesci nelle valli da pesca dell'area lagunare della regione, secondo una modalità che prevede lo sfruttamento dell'alternarsi delle maree nel totale rispetto delle caratteristiche naturali dell'ambiente in cui si pratica.

Si tratta di un'occasione unica per far conoscere la ricchissima e pregiata varietà dei prodotti ittici di acqua dolce e salmastra della regione, abbinati ai prodotti agroalimentari dell'intero territorio regionale secondo la strategia promozionale identificata dal bollo Tipicamente friulano. A tal fine è stata allestita una sala degustazioni organizzata per offrire fino a quattro appuntamenti al giorno, tutti dedicati alla proposta di inediti e sorprendenti preparazioni ottenute dalla combinazione delle eccellenze del Friuli Venezia Giulia.

A ogni piatto viene abbinato una tipologia di vino, individuato tra i migliori del Friuli Venezia Giulia. Di elevatissimo livello è la selezione di Friulano (ex Tocai), icona vitivinicola di un territorio riconosciuto nel mondo per la produzione di grandi bianchi e prodotto in regione da oltre un migliaio di aziende dall'antica tradizione enologica.
Il fitto programma delle degustazioni prende il via sabato 23 febbraio alle 12.00, in concomitanza con l'inaugurazione dello spazio istituzionale dedicato al Tipicamente friulano

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Sotto l'albero i calamari istriani

Calamari istriani

Durante il periodo natalizio l'Istria propone “Le giornate del calamaro”, che offrono la possibilità di degustare nei migliori ristoranti menù a prezzi fissi, che vanno indicativamente dai 9 euro per due portate ai 36 euro per quattro portate. Calamari non unicamente fritti o ai ferri, ma stufati assieme

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Gruppo di Azione Costiera

GRUPPO DI AZIONE COSTIERA “GAC Friuli Venezia Giulia” L’Asse IV del FEP – Fondo Europeo per la Pesca 2007-2013. Il Fondo Europeo per la Pesca 2007-2013, in quanto il principale strumento comunitario a favore del settore,  contempla e incoraggia, nel suo Asse IV “Sviluppo sostenibile delle zone di pesca”, la creazione di soggetti in grado di sviluppare

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Un piano per rispondere alle moderne esigenze della pesca

Un piano per rispondere alle moderne esigenze della pesca. Presentato  in Camera di Commercio di Trieste il Gruppo di Azione Costiera FVG
Duino-Aurisina e Marano Lagunare unite per azioni comuni di sviluppo - Un piano da oltre 2 milioni di euro per il triennio 2013-2015
(cliccando qui trovate la scheda tecnica)


Pesca, enogastronomia, turismo e difesa dell’ambiente: c’è tutto questo nel piano di sviluppo locale delle zone di pesca del neo-costituito Gruppo di Azione Costiera (GAC) del Friuli Venezia Giulia presentato

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Mussoli, che passione!

 

 

MOLLUSCHI

MUSSOLI, CHE PASSIONE!

 

“l’animale di questa conchiglia si attacca ai dirupi, e in particolare alle lor cavità…”

 

Giuliano Orel e Aurelio Zentilin

 

Il Mussolo (Arca noae) Cod. FAO alpha 3 RKQ è un mollusco bivalve edule (commestibile) diffuso in tutto il Mediterraneo, ma pescato soprattutto lungo le coste istriane e dalmate (e apprezzato anche sulle coste italiane dell’Adriatico. Veniva e viene tuttora pescato sui fondi fangosi detritici che si estendono al largo della costa istriana da Punta Grossa a Pola, nel Quarnero, nei canali tra le isole dalmate e al largo della costa friulana nel tratto di mare formato da una lingua di rocce di origine organogena conosciuta, per l’appunto, come “la mussolera”. Il mollusco vive attaccato  al substrato roccioso per mezzo di una struttura  costituita da numerosi filamenti di bisso giustapposti.

I filamenti di bisso formano una sorta di “spoletta” posta a cavallo dei margini distali delle due valve chiuse. Una struttura che abbiamo definito per forma ma soprattutto per il suo utilizzo, anche se con un po’di vergogna per l’indegno paragone, simile alla linguetta di una lattina di bibita. Ecco invece la musicale descrizione sulla “particolarità del peduncolo dell’Arca noae” riportata dall’abate Olivi nella sua Zoologia Adriatica (pag. 116) pubblicata nel lontano 1792: “l’animale di questa conchiglia si attacca ai dirupi, e in particolare alle lor cavità mediante un peduncolo di mezzo pollice di lunghezza sovra tre linee di larghezza di figura romboidale, se non che il lato attaccato al vivente è alquanto maggior dell’opposto. La sostanza verde ed omogenea, della quale è formato cotesto peduncolo, lungi dall’essere setacea è filamentosa, come ordinariamente è quella con cui si attaccano le atre conchiglie, e compatta, quasi solida e stipata; sicchè sembra che il glutine impiegato dall’animale nel formarla sia elaborato diversamente. Aderentissima alle pietre e alle Madrepore, alle quali si attacca, ella abbandona più facilmente, qualora venga strappata, l’animale che l’ha prodotta, che lo scoglio su cui riposa”.

Come si pescano i mussoli

Lo storico strumento di pesca è uno strascico a rete metallica (l’ostregher o la mussolera) il cui bordo superiore è dotato di una pertica che tiene aperta la bocca del sacco, mentre quello inferiore, appesantito da una serie di lastre di piombo, è destinato a scalzare dal fondale di pesca gli agglomerati cui aderiscono i mussoli.

In questi ambienti peculiari per l’Alto Adriatico oltre che Arca noae si trovano anche organismi quali la “sponza” (Microcosmus vulgaris), il “canestrello nero” (Chlamys varia), un particolare “cetriolo di mare” (Cucumaria planci), le “stelle serpentine” (Ophiotrix quinquemaculata, Ophiotrix fragilis).

Curiosità

Insaccati di mussoli

Zone famose per una produzione particolarmente abbondante, erano quelle al largo della costa settentrionale dell’Istria, e quelle tra Salvore e Cittanova. Qui erano particolarmente pescosi i fondali al largo di Punta del Dente, a Sud del Quieto. Zone talmente ricche di mussoli che durante il periodo dell’autarchia, a Salvore e a Umago si tentò addirittura di produrre degli insaccati costituiti dal mollusco cotto e condito con spezie.

 

Gastronomia

Fino alla fine della guerra la maggior parte della produzione andava al consumo diretto, tanto sulle mense familiari quanto su quelle delle osterie più popolari. Il mollusco era, infatti, considerato cibo da poveri. Il metodo di cottura era pressocché unico: dopo un sommario lavaggio, i molluschi erano posti in una larga padella, coperti con un sacco di juta umido e fatti andare a fuoco vivo. Il rilevamento dell’esatto grado di cottura costituiva la parte più delicata dell’operazione. In effetti, una cottura troppo lunga ne determinava una eccessiva disidratazione e un indurimento delle carni, sicché era necessario servire il mollusco non appena i muscoli adduttori collassavano e le due valve si aprivano offrendo un mollusco in cui l’acqua intervalvare era pressocchè tutta raccolta in due sacche che si costituivano tra il mantello (il tessuto del mollusco che produce la conchiglia) e il corpo.

STREET FOOD

Da cibo dei poveri a prelibatezza gourmandise

A Trieste la preparazione dei mussoli era affidata prevalentemente a bancarelle di ambulanti autorizzati cui erano assegnati ben precise postazioni di vendita: nel rione di San Giacomo o Cavana, presso l’Ospedale Maggiore, sulle rive o alla Rotonda del Boschetto. La loro localizzazione coincideva spesso con quella di osterie conosciute per la qualità del loro vino. I molluschi bollenti venivano serviti in numero di cinque o dieci pezzi in ciotoline di legno. Consumata la sua porzione, l’avventore si affrettava ad entrare nell’osteria per l’abbinamento ritenuto più adatto: in genere un bicchiere, anzi un “ottavo” di malvasia. Oggi, con la produzione di mussoli passata da migliaia di tonnellate a decine di tonnellate, quel cibo da poveri è diventato oggetto di culto per pochi buongustai e offerto con comprensibile orgoglio da pochi ristoranti più attenti alle tradizioni locali.

 

Mussolo: simbolo e vanto della cucina triestina e istriana

Cesare Fonda storico e appassionato della cultura enogastronomica locale afferma: “Questi molluschi non solo possono essere considerati in assoluto un piatto tipico triestino, ma forse il più tipico in assoluto. Se esistesse un blasone della cucina nostrana, al centro dovrebbe campeggiarvi un mussolo”. Tipicamente piranese invece la “pasta coi mussoli”: una pasta condita con un ragout di mussoli aperti a vapore, tritati e uniti a un battuto di lardo, con concentrato di pomodoro e sapori. Trattandosi di uno dei piatti istriani di pesca (forse l’unico) in cui un prodotto del mare viene abbinato a un prodotto della zootecnia, esso potrebbe essere assunto a simbolo dell’antica separatezza tra Istria continentale e Istria costiera e dei rapporti che vengono ora invece auspicati tra la costa e i territori all’interno all’insegna dello slogan turistico “castellieri e approdi”.


Sito internet: http://www.laprediletta.it/

SARA ULIANAA tavola si svolge gran parte della nostra vita familaire le cose importanti succedono sempre in cucina  cena di emmaus di Caravaggio alla National gallery di londra la tavola come un teatro che cerca con emozione e la luce la veerità  guardarsi negli occhi attraverso il rito antico e magico del cibo  l’ospitalità sta nel cuore delle cose. Agriturismo e B&B La Prediletta – Motta di Livenza (TV)

Luigi Cattarossi Rosùtis di... Strie(1888)

..îr, sore di un rivâl, in mieç de jarbute
timide e sençe il so zentîl colôr,
hai ciatade une pùare violute
sençe la fuarçe di mandâ il so odôr;
chê viole zentîl jè la stafete
de primevere alegre e benedete.

 

 

 

hiamato finché visse/regnò in quel di Fiandre e di Bramante./Dall'orzo il malto pria di tutto estrasse/ poscia di birra fé l'arte brillante/ tal che li posteri vantasse/ d'aver avuto un Re, Mastro insegnante" (antica ballata popolare tedesca).

La ricetta

Capretto alla birra scura

Ingredienti

per 6 persone: 1/2 capretto, 1 rametto di maggiorana, 1 rametto di prezzemolo,
1 rametto di timo, 3 spicchi d'aglio, 4 pezzi di scalogno, 150 g di burro, paprica,
1 l di birra scura (dunkel tedesca o ale belga), poco Worchester, 1 cucchiaio di miele, 1 dl di olio d'oliva, 2 pezzi di peperoncino, 1 dl di vino bianco, sale e pepe quanto basta

Esecuzione

Sezionare il capretto (spalla, schiena e coscia) tagliando i pezzi in grandezza uguale (questo lavoro può essere fatto dal macellaio). Una volta tagliati i pezzi, in due bacinelle diverse (una per schiena, una per spalla e coscia) mettere a marinare nella birra le carni con tutti gli ingredienti elencati, per circa 2 ore. In forno preriscaldato a 250 gradi, aggiungere dell'olio alla placca e infornare i pezzi di carne di spalla e coscia senza aggiungere la marinata. Cuocere per circa 20-25 minuti girando i pezzi ogni tanto. Infornare infine i pezzi della schiena, anche questi ultimi sgocciolati, e lasciar cuocere il tutto per altri 15-20 minuti. Togliere la carne, metterla in una grande pentola e fare in modo che la salsa si addensi. Questo procedimento chiederà circa 5 minuti.
Unire le erbette aromatiche al burro nocciolino prima di servire. (ricetta suggerita dalla birreria Gambrinus)

 

 

http://www.pasticceriafilippi.it/it/pasqua/100percentoolio/

 

 


De cepis medici non consentire videntur.
Chorericis non esse bonas dicit Galienus.
Phlegmaticis vero multum docet esse salubres.
Praesertim stomacho: pulcrumque creare colorem.
Contritis cepis loca denudata capillis.
Saepe fricans, poteris capitis reparare decorem.

Sull’oprar delle cipolle
disputar sempre si volle.
Da Galien però si scrive
che ai biliosi son nocive;
ma salubri poi ben bene
ai flemmatici le tiene,
specialmente pel ventriglio,
e per dare un bel vermiglio.
Con cipolle spesso i siti
dei capei nudi e sguarniti
stropicciando, ha l’opra loro
reso al capo il suo decoro.

 

BACARI TOUR

Un pomeriggio nella Venezia “sconta” tra cuor leggero e scarpe basse

Una prospota affasdcinantee imperdibile: un tour nella veenzia dei veneziani con la guida

ANNA MARIA PELLEGRINO

 

Si raggiunge Venezia in treno o in autobus di linea (parcheggiano in terra ferma) o in auto (in questo caso programmate un po’ di tempo in più per parcheggiare). Dalla Stazione Santa Lucia, ci si dirige verso la Venezia dei Veneziani, destinazione Rialto, per giungere in zona Pescheria (che purtroppo chiude alle ore 12.00 di tutti i giorni ed è chiusa il lunedì). Perciò il pesce lo si gusta già cotto, grazie ai cicheti dei “Do Mori”, l’osteria più antica di Venezia (data 1462) nonché una delle più affascinanti, un corridorio tra due calli difficilmente localizzabile per chi non è del luogo. Dopo il battesimo con il primo cibo di strada che l’occidente abbia conosciuto (affermazione assolutamente di parte!) ci si dirige verso il famoso “chiosco” di Santa Maria Formosa, situato in un crocevia di calli che vede l’incessante incrociarsi di veneziani più o meno affaccendati. Per sorseggiare uno spritz in formato “normale” per i locali e formato “flebo” per i foresti. Ascoltando i silenzi che le calli e i campielli sconosciuti ai turisti sanno donare, si arriva un altro bacaro storico, “Al Ponte”, attraversando San Zanipolo (nickname che deriva dalla tipica contrattura che i veneziani amano applicare ai santi e ai fanti!). E lì tutti ad ammirare l’ingresso più bello del mondo, se si considera che si tratta di un ospedale civile (visitabile fino all’inizio degli ambulatori e fino alle 21.00 di ogni giorno), trattandosi infatti della Scuola Grande di San Marco, una delle sei scuole devozionali “maggiori” della Serenissima). Sosta per una classica “ombra”, l’unità di misura preferita dal Bacco lagunare, caratterizzata anche dal tipico bicchiere svasato in vetro, che assomiglia (incredibile!) a quello in cui ancor oggi, anche nei Balcani, viene servito il caffè turco.

Tra chiacchiere e foto, dopo aver attraversato il campo dei Miracoli, un vero e proprio gioiello, uno dei primi esempi di arte rinascimentale a Venezia e anche uno dei primi esempi di “costruzione chiavi in mano” perfettamente riusciti, si giunge appunto all’Antica Adelaide, con la sua stanza del latte, quella in cui le donne di Campalto portavano dalla terraferma il latte delle mucche che allevavano e nella quale si riposavano prima di lasciare Venezia per ritornare a casa. Sosta ristoratrice con bigoli al torchio e scampi freschissimi, risotto al nero e crudi marinati con aceti preparati personalmente dal titolare Alvise. Non può mancare una tappa Al Paradiso Perduto, storico locale, situato in fondamenta della Misericordia, che vide concretizzarsi le canzoni dei Pitura Freska tra le quali la mitica “Pin Floi”: “Persi par persi, ‘ndemo a consolarse, ‘ndemo al Paradiso a ‘nbriagarse”. Vi assicuro che toglierete le scarpe alle 3 del mattino con il cuore ricco di saperi e di sapori. E dopo poche ore di sonno già pronti per un nuovo tour alla ricerca delle perle nascoste di Venezia, come quegli Orti Veneziani che sanno donare primizie e bontà apprezzate dai buongustai e diventati presidi SlowFood.

 

 

BACARI TOUR intero

Un pomeriggio nella Venezia “sconta” tra cuor leggero e scarpe basse

 

Si raggiunge Venezia in treno o in autobus di linea (parcheggiano in terra ferma) o in uato, in questo caso programmate un po’ di tempo in più per parcheggiare. Dalla Stazione Santa Lucia, ci si dirige verso la Venezia dei Veneziani, destinazione Rialto, attraverso Capo San Giacomo dell’Orio (nelle vicinanze del Museo di Storia Naturale), Santa Maria Mater Domini, San Cassiano per giungere in zona Pescheria (che purtroppo chiude alle ore 12.00 di tutti i giorni ed è rigorosamente chiusa al lunedì).

Di conseguenza non si acquista il pesce ma lo si gusta già cotto, grazie ai cicheti dei “Do Mori”, l’osteria più antica di Venezia (datata 1462) nonché una delle più affascinanti, un corridorio tra due calli difficilmente localizzabile per chi non è del luogo (e forse non vuole proprio farsi scoprire).

 

Dopo il battesimo con il primo cibo di strada che l’occidente abbia conosciuto (affermazione assolutamente di parte!) un po’ più allegri e sciolti ci si dirige verso il famoso “chiosco” di Santa Maria Formosa, situato in un crocevia di calli che vede l’incessante incrociarsi di veneziani più o meno affaccendati. Il bello è infatti, davanti ad uno spritz in formato “normale” per i locali e formato “flebo” per i foresti, sedersi a uno dei tavolini rigorosamente ed esclusivamente all’aperto, circondati da curiosi piccioni, per osservare l’energia della tipica “Camminata Veneziana” (e vi prego di far attenzione ai polpacci dei locali che avrebbero fatto invidia a Claudio Gentile).

 

Un po’ più sciolti si raggiunge, ascoltando i silenzi che le calli ed i campielli sconosciute ai turisti sanno donare, un altro bacaro storico, “Al Ponte”, attraversando campo San Giovanni e Paolo (alias San Zanipolo, nickname che deriva dalla tipica contrattura che i veneziani amano applicare ai santi e ai fanti!). E lì tutti ad ammirare l’ingresso più bello del mondo, se si considera che si tratta di un ospedale civile (visitabile fino all’inizio degli ambulatori e fino alle 21.00 di ogni giorno), trattandosi infatti della Scuola Grande di San Marco (una delle sei scuole devozionali “maggiori” della Serenissima).

 

“Al Ponte” è un’osteria più recente (be’, con un buon numero di decenni alle spalle) ma anch’essa molto amata ai veneziani che si ritemprano con la classica “ombra”, l’unità di misura preferita dal Bacco lagunare, caratterizzata anche dal tipico bicchiere svasato in vetro, che assomiglia (incredibile!) a quello in cui ancor oggi, anche nei Balcani, viene servito il caffè turco. Ma voi davvero non sapete perché si chiama “ombra”? J

 

Tra chiacchiere e foto la tappa dell’Antica Adelaide arriva in un battibaleno soprattutto se ci si ferma per una visita alla Chiesa dei Miracoli, situata nell’omonimo campo dei Miracoli. Si tratta di un vero e proprio gioiello, uno dei primi esempi di arte rinascimentale a Venezia ed anche uno dei primi esempi di “costruzione chiavi in mano” perfettamente riusciti. Un mercante lombardo, Antonio Amadi, possedeva un quadro, una Madonna con Bambino, ritenuto miracoloso e volle costruirci una chiesa attorno. Si affidò alla scuola di Pietro Lombardo che, assieme ai figli Antonio e Tullio, dal 1481 al 1489 diede vita al progetto, alla costruzione ed alla decorazione di questo autentico capolavoro.

E così con il cuore carico di decorazioni marmoree che sembrava cesellate da Benvenuto Cellini in persona si giunge appunto all’Antica Adelaide, osteria riaperta da Alvise e riportata al suo splendore caratteristico dopo anni di incuria. Si tratta di una delle osterie veneziane più cariche di storia, con la sua stanza del latte, quella in cui le donne di Campalto portavano dalla terraferma il latte delle mucche che allevavano e nella quale si riposavano prima di lasciare Venezia per ritornare a Campalto, via mare. Allora il Ponte della Libertà non era ancora stato costruito!

Da provare i bigoli al torchio con scampi freschissimi, il risotto al nero e i crudi marinati con aceti preparati personalmente da Alvise.

 

Dall’Antica Adelaide al punto di partenza il tratto più breve è la Strada Nuova, che viene normalmente percorsa dai turisti… che sarebbe meglio non percorrere, preferendo il tragitto che attraversa il Ghetto (Nuovo e Vecchio), per giungere Al Paradiso Perduto, storico locale, situato in fondamenta della Misericordia, che vide concretizzarsi le canzoni dei Pitura Freska tra le quali la mitica “Pin Floi”, dedicata appunto al concerto-disatro che i Pink Floyd tennero in laguna nel 1985. Ricordate le parole? “Persi par persi, ndemo a consolarse, ndemo al Paradiso a inbriagarse”.

 

Vi assicuro che toglierete le scarpe alle 3 del mattino con il cuore ricco di saperi e di sapori. E dopo poche ore di sonno già pronti per un nuovo tour alla ricerca delle perle nascoste di Venezia, come quegli Orti Veneziani che sanno donare primizie e bontà apprezzate dai buongustai e diventati presidi SlowFood.

 

Anna Maria Pellegrino

 

 

 

 

ASINI

 

Dal 22 al 27 aprile si svolge alla fortezza di Santa Margherita in comune di Moruzzo il corso di formazione di primo livello in attività di mediazione con l’asino (onoterapia). Info: Tel 377 1678219 www.amiciditoto.fvg

 

 

gent.ma Fabiana, ti mandoquello che mi hanno passato dal cantinone. prova avedere se sono informazioni che ti possono andar bene..ma poi il pezzo lo scrivi tu o lo faccio io? x le foto te le mando domattina, ieri la macchina si è inceppata.. a presto.. Mauro

 

 

2) DESCRIZIONE DEL PROGETTO

 

Mission

L'obiettivo dei quattro soci è quello di ricreare l'ambiente della vecchia osteria friulana in una antica cantina con la volta in mattoni. In questo luogo confortevole, nel quale è possibile poter degustare dei vini e delle veloci pietanze di qualità ad un prezzo “onesto”, si vuol creare l'atmosfera per accogliere degli ospiti, più che dei clienti.

Il mix di prodotti offerti parte da un vino da “primo prezzo” fino ad arrivare alla bottiglia d'annata. Al primo viene abbinato uno spuntino veloce. Per gli altri si propone l'abbinamento ad un determinato formaggio, piuttosto che salumi o altro.

L'offerta è innovativa nella sua semplicità. Chi normalmente frequenta questo genere di locali non è quasi mai da solo. Avremo quindi il listino “classico” e quello con l'offerta per due o più commensali, tutto compreso.

 

Il locale

Al piano terra di un palazzo in stile barocco quattro-cinquecentesco, al di fuori della cinta murata, nel cuore del centro storico della medievale Valvasone, in provincia di Pordenone, assoggettato ai vincoli dalla Soprintendenza dei Beni Culturali del Friuli Venezia Giulia, si trova la vecchia cantina, o meglio, come chiamata dalla proprietà, il Cantinone.

Si accede da Via San Pietro, difronte all'omonima chiesetta. Sotto un porticato che costeggia l'intera via, scendendo un paio di scalini si entra in un ambiente contraddistinto da una splendida volta in mattoni. Il pavimento in palladiana valorizza l'aspetto architettonico. L'arredamento è molto semplice: piccoli tavoli in arte povera, sedie di legno impagliate, un lungo bancone su cui troneggia una splendida e rossa Berlkey. La luce del neon che, a vela, illumina i mattoni fatti a mano e i piccoli abat-jour sui tavolini creano un'atmosfera magica. Un sottofondo musicale jazz dà quella sorta di calore che avvolge l'ospite e lo fa sentire a casa propria. Alcune mensole con dei libri di cucina, altri trattanti la lavorazione del vino e della birra danno quel tocco “culturale” all'ambiente, ma senza appesantirlo. I grandi calici di cristallo per la degustazione dei rossi in barrique, i flut e le coppe, attraggono l'attenzione del visitatore.

 

Prodotti offerti

Prima di analizzare nel dettaglio il prodotto tangibile, si vuole porre l'attenzione sull'aggregato complesso contraddistinto anche dagli attributi intangibili e sul suo valore d'uso e simbolico.

Si pensi all'aria che si respira entrando a Valvasone e all'atmosfera che avvolge l'ospite che scende i due scalini per entrare nel vecchio locale, nella vecchia cantina.

Parafrasando il Rulliani (2004) “il valore di un prodotto è sempre meno legato alle sue qualità materiali ... e dipende sempre più dal significato (simbolico, emotivo, identitario o altro) che il consumatore attribuisce all'oggetto acquistato”.

Analizziamo ora i prodotti che vengono divisi in due macro aree: da una parte vini e birre, dall'altro, più in generale, il settore alimentare.

Prima macro area: categoria vini e birre.

Nella primaria categoria dei vini, troviamo due sotto categorie: i rossi e i bianchi. A loro volta i vini rossi faranno parte della sottospecie “giovani” o “da invecchiamento”. I vini bianchi si distinguono tra “fermi” e “frizzanti”.

Si offre un vino definito da “primo prezzo” con le seguenti caratteristiche: alla spina, un €uro al calice, proposto anche in caraffa da quarto, mezzo o da litro. La selezione di vini elenca una scelta fino ad arrivare a bottiglie di valore elevato. Importante è il giusto mix tra le varie categorie e sottospecie. Tutte hanno un occhio di riguardo per gli abbinamenti con i prodotti della seconda macro area, quella alimentare.

La categoria birre, di secondaria importanza, evidenzia la birra chiara, alla spina e un mix di altre selezioni in bottiglia. Questa categoria mira a coprire le richieste di quei pochi ospiti che, entrando in un'enoteca, chiedono una birra.

 

Seconda macro area: alimentare.

Anch'essa viene scissa in due categorie: piatti freddi e caldi caldi.

Qui viene data primaria importanza alla categoria dei piatti freddi.

Quelli che in francese vengono generalmente definiti come “charcuterie” costituiscono la base dell'offerta alimentare dell'ambiente. Questa è costituita da prodotti tipici locali, quali il prosciutto di San Daniele, di Sauris e i salami nostrani. Attraverso la collaborazione con aziende agricole locali si propone un prodotto proveniente direttamente dall'allevamento e dalla successiva diretta lavorazione, riuscendo a curare una sorta di filiera locale.

Il valore aggiunto della “charcuterie” è costituito dalla rotazione, settimanale piuttosto che mensile, dei prodotti provenienti da altre regioni d'Italia e anche dall'estero.

Viene proposta la serata a tema del “jamon serrano”, prosciutto tipico spagnolo, oppure quella dello “speck tirolese”, fino ad arrivare al “foie gras” francese.

I piatti fretti vengono serviti su un tagliere di legno.

Il piatto base è costituito dal “monoprodotto”, venduto a peso, ovvero: prosciutto, salame, speck, formaggi, ecc..

A ciò si aggiungano quattro piatti: Friulano, Austriaco, Marchigiano e Calabrese composti da un mix di prodotto tipici della zona di riferimento, ciascuno del peso non superiore a 150 grammi e con un prezzo di vendita indicativo dai 5 ai 7 Euro.

Categoria dei piatti caldi.

Viene creato uno standard di offerta che ha come punto di riferimento la porzione di frico da servire velocemente, caldo, magari trattato al pari dello stuzzichino abbinato al vino rosso precedentemente individuato.

Alternativa a questo piatto caldo potrà essere un primo di lasagne – ad esempio -, possibilmente già preparato, da servire riscaldato.

Sempre valida la pasta con due proposte di sugo: pomodoro e ragù, con l'eventuale variante di stagione: funghi piuttosto che verdure, ecc..

In ogni caso la gamma e la preparazione del listino viene rimandata ad una valutazione più appropriata, sviluppata compatibilmente alle caratteristiche d

 

 

 

Come veniva fatto il formaggio.

Il latte della sera veniva messo in appositi contenitori dalla capienza di circa 50 litri, ed al mattino come primo lavoro si faceva la ( spanatura ) cioè veniva tolta la panna che dopo un’ulteriore lavorazione diventava burro, nel frattempo i soci contadini portavano il latte del mattino, che veniva semplicemente aggiunto all’altro nella (Caldera ).

 

Si accendeva il fuoco negli anni addietro erano gli stessi contadini che portavano le fascine per la cottura del formaggio,poi alla venuta dei bruciatori il compito divenne meno gravoso, ed anche più gestibile visto che il fuoco non doveva essere sempre troppo alto.

Bisognava portare il latte alla temperatura di 35 / 36 gradi, quindi si aggiungeva il Caglio che serviva per far rapprendere il latte, già diversi anni fa oltre al caglio naturale ( fatto con il quarto stomaco dei vitelli “ abomaso” ) si usava anche il caglio vegetale ed il caglio chimico, comunque non è facile stabilire se il caglio è naturale o chimico, sono pochissime le aziende che certificano l’uso di quale caglio adoperano, visto che lo si trova anche liquido. Una volta alcuni contadini che macellavano in proprio ( rea consuetudine ) si tenevano la parte di stomaco del vitello o della capra proprio per farsi il caglio da soli.

 

Dicevamo che ad un certo punto il latte faceva i grumi ( la cagliata ) si spegneva il fuoco, e si lasciava depositare la cagliata, poi veniva tolto il 50% di siero se non altro per una maggior lavorazione,  e con un  apposito strumento detto Lira si passava al taglio o sminuzzamento della cagliata rendendo il tutto a granelli come il frumento questo taglio dava la lavorazione perfetta per la varietà Montasio, e come già accennato era il socio che avvertiva il casaro se poteva fargli una lavorazione più o meno molla, e così si tagliava un po di meno la cagliata. Quindi si riaccendeva il fuoco e sempre mescolando per evitare attaccature si portava la temperatura a 42 / 45 gradi quindi veniva fatta una prova manuale

Stringendo un po di cagliata nella mano a pugno chiuso, da li il casaro capiva con precisione se era pronto o meno , quindi si spegneva il fuoco ( al tempo delle fascine era d’obbligo gettare anche dell’acqua altrimenti le braci accese rovinavano la cottura ) e si cominciava a togliere la cagliata, tagliandola con una lama dove era avvolta una tela e si creava una palla, che poi veniva messa negli stampi, diciamo che con la loro grande esperienza il peso di ogni forma sballava di pochi etti. I primi stampi naturalmente erano fatti di legno, ma visto che con l’uso quotidiano si deterioravano spesso, vennero scambiati con quelli in alluminio, chiaramente in questi stampi venivano adagiate le palle di cagliata e venivano pressate , per poter ottenere la forma classica del Montasio, nell’arco della giornata venivano spesso girate, ed al ricevimento del latte serale nell’ultimo giro venivano messi all’interno degli stampi le targhe con il nome del paese e la data, per un sicuro riconoscimento delle stesse. nello stesso momento venivano tolte (  lis  strissulis )  erano quei pezzetti che fuoriuscivano dalla pressatura.

 

Un momento importante era anche quello del mattino quando le forme venivano tolte dagli stampi e messe nella salamoia, le salamoia erano due  naturalmente dovevano lasciare lo spazio per le nuove forme, e dopo 36 ore venivano tolte le prime,ecco il cosi detto lavoro a catena  qui , si passava anche ad un ulteriore salatura esterna,come si sa il sale è un ottimo conservante, ma ciò che più interessava era l’impedimento di modo che le mosche non potessero deporre uova o feci, in questo caso il formaggio era lasciato ad alto rischio larve, vermi ecc. ecc. c’era comunque chi richiedeva una salatura maggiore senz’altro in quelle famiglie si mangiava tutto molto saporito.

Naturalmente ho chiesto a Secondo me quanti tipi di lavorazione Montasio facevi? E lui mi mi risponde.

 

La lavorazione Montasio è una sola con delle caratteristiche precise, e qui  ritorna sempre l’intervento dei vari soci, qualcuno pretendeva di lasciare dentro tutta la panna, altri lo volevano più morbido e cosi via, si sappia che se troppo morbido non era il caso di invecchiarlo,era sempre il Casaro che poi accontentava i soci, visto che il formaggio se lo vendevano da soli ( spesso ). Certo è che in quei periodi con la memoria di Secondo “ Tirava “  il formaggio stagionato ed era quello più apprezzato almeno nella lavorazione Montasio.

 

E ascoltando il Casaro si capisce il perché ogni tanto c’erano delle forme di formaggio che si “ sollevavano” e si inacidivano, sapessi mi dice che battaglie ho fatto se non altro per far capire ai soci l’importanza del fattore igienico ( tu non sai che cosa mi portavano )e purtroppo era impossibile fare un controllo totale con oltre 200 soci “sarei ancora li” l’unico strumento che avevo si chiamava Sudiciometro era composto da una striscia di tela a mo di sacca dove versavo un tot di latte da controllare ed in fondo alla sacca rimanevano le impurità, e da li potevo giudicare e dovevo essere severo, se non altro per la riuscita della cotta del formaggio ma anche perche tutti imparassero la lezione.

 

A questo punto gli chiedo, hai per caso qualche aneddoto vista la tua lunga carriera?. Ma guarda una cosa che non era un aneddoto ma ricorrente, forse anche per le ore da passare insieme  era il vociare di qualunque cosa bella o brutta che sia, naturalmente cercavo se possibile di non intervenire visto che poi si allungava la lavorazione,però visto che mi conosci io di solito buttavo tutto in “stajare” come dire sullo scherzoso.

Adesso ti racconto due aneddoti tutti due successi prima di avere il lavoro fisso a Variano, mi ricordo una volta andai a lavorare a Laipacco il Casaro del luogo era andato in ferie, ti dirò in quegli anni le strutture non erano proprio ben messe, e si doveva fare attenzione un po a tutto in questo caso avevano le salamoie in uno scantinato con una scala ripida, dunque stavo portando giù le forme a braccio con la fatica e l’attenzione che ti ho detto,quando una donna mi chiamò e mi disse sa Casaro l’ultima cotta che ho portato a casa, abbiamo venduto tutte le forme meno due che erano per noi, sa mi disse una molto buona e l’altra ben cattiva, ( ti faccio presente che è fisiologico, come vai in un posto nuovo a lavorare ci sarà sempre qualcuno che dirà o bene o male degli altri Casari )

Ed io a mente mi dissi eccola qua che è arrivata, e con la mia flemma scherzosa comincio.

 

PENSO ALLA MANIERA FRIULANA

Secondo    ( par cas cognoseiso Vigi Gjmul di Feagne ?

la donna     no no lu cognos

Secondo     pobèn ancje lui al veve doi gjmui in cjase un lu a clamaat Oreste e un Gjuàn

la donna    e alore?

Secondo stait a sintì Oreste al jere trist come la peste, e Gjuàn al jere bon come el pan, e a vignivin fur ducju    doi di che stesse cjalderie .

 

ED ALLA MANIERA ITALIANA

Secondo ;( per caso conoscete Luigi gemello di Fagana?

La donna ;no non lo conosco

Secondo, ebbene anche lui aveva in casa due gemelli, uno lo ha chiamato Oreste ed uno Giovanni

La donna; ed allora?

Secondo; state a sentire, Oreste era cattivo come la peste, e Giovanni era buono come il pane, e comunque venivano fuori tutti e due dalla stessa Caldera.

 

Da qui già mi immagino il secondo aneddoto, vi dirò che conoscendolo di persona in tutti gli anni in cui io avevo una attività a Variano di Basiliano, gestivo una pizzeria trattoria con dei ricordi molto belli sia da parte mia che da tutti gli amici che trovo ogni tanto.

 

Il secondo aneddoto;

Una volta  una donna mi si avvicina e come sempre mi sento dire;

La donna;    Mi scusi Casaro

Secondo ;    si mi dica

La donna;    sa ho alcune forme dell’ultima “cotta” che si sollevano

Secondo:    quando sono state fatte?

La donna   : il giorno dell’Assenza

Secondo:    ha e normale

La donna:    come mai?

Secondo:   vedete il giorno dell’Assenza, nostro Signore dalla terra si è sollevato fino in cielo e pesava sicuramente più di cinque chili.

La donna: e con ciò?

Secondo : bè  permetterete che se nostro Signore e salito così in alto, la forma che pesa solo 5 chili possa sollevarsi di appena un centimetro.

Il burro:

Sul fatto del burro, non ci sono grandi cose,veniva poco usato da crudo per il fatto che non c’era la possibilità di conservarlo, veniva cotto (  detto ont ) da solo ed usato con parsimonia, almeno dalle famiglie meno povere altrimenti veniva tagliato sempre nella cottura o con il grasso delle oche oppure con il grasso del maiale, ma era preferibile cucinarlo da solo e farne una mistura con gli altri grassi nel momento che veniva usato nelle varie pietanze.  E  sempre sulle parole di Secondo , vedi mi dice:  quando si cominciò a credere che il burro fosse troppo grasso, specialmente con le nuove diete moderne l’uso venne fatto sempre in maniera minore. Oggi con le tecnologie moderne sappiamo che non è cosi, difatti olio, burro o margarina si può dire che hanno la stessa quantità di grasso e di calorie.

 

 

Ancora Bari: sgagliozze e popizze

Damiano ce ne aveva parlato. «Le trovi negli angiporti di Barivecchia. Anziane donne te le offrono da finestre e portoni. Sono roventi e cosparse di sale. Provocano immediate ustioni al palato, cauterizzate nel dolore dai cristalli di cloruro di sodio. Addentarle per la prima volta è un rito d’iniziazione». Toni Fiore, autore della focaccia raccontata nel post precedente, ci aveva raccomandato quelle della signora Maria, che apre i battenti della sua friggitoria in strada del Carmine alle cinque di pomeriggio.

Più o meno a quell’ora eravamo di nuovo a Barivecchia, pronti a sacrificare lo strato epiteliale del palato pur di compiere la cerimonia. Lasciataci alle spalle la Basilica di San Nicola, ormai in vista dell’ingresso laterale sinistro della Cattedrale – altra stupenda chiesa medievale tutta bianca con cripta a sorpresa, perché inopinatamente vi fa entrare in un’altra epoca, quella del trionfo cromatico – sentiamo un profumo di fritto provenire dalla nostra destra. Niente insegna, soltanto un affaccio sulla strada, una finestra senza vetro.

Sbirciamo all’interno. Il locale è ingombro di tavoli e pentoloni ribollenti. A far compagnia alla signora Maria ci sono diversi familiari e forse amici, che chiacchierano tra loro mentre lavorano. Chiedo alla signora una sgagliozza e una popizza. «Impossibile. Il minimo è sette». Caspita, sette. Con quanto abbiamo già mangiato… E quanto costano? «Un euro sette sgagliozze, un euro sette popizze». Allora si può fare.

Con questo gelo ci stanno proprio bene. Le sgagliozze sono fette quadrangolari di polenta gialla (chi è l’ingenuo che crede sia solo un prodotto nordico?) e le popizze frittelline sferiche di farina bianca. «Nelle prime metto solo polenta e acqua. Nelle altre farina, lievito, un po’ di zucchero, olio e sale. Il segreto è cambiare spesso l’olio di frittura, che è un olio di semi» ci dice la signora.

È giunto il momento. Puoi essere preparato quanto vuoi tu, ma non la scampi. Superato l’impatto ustionante, ammetto che mi sono piaciute molto, soprattutto le sgagliozze, delle quali non è rimasta neanche una, grazie al contributo di mia moglie. Oltretutto tenere in mano col freddo un sacchetto bollente è una bella sensazione. Adesso, però, devo confessarlo. Le conoscevo già, nella loro versione maschile partenopea: gli scagliuozzi. Sono in pochi, però, a proporli ancora a Napoli. Bari, a quanto pare, ama più del capoluogo campano le sue tradizioni.

 

Correzioni pag 48 seconda colonna

Sommarietto pag 48

Il Numero di Lotto e il Codice a Barre aiutano nella “rintracciabilità nella filiera”, il percorso

a ritroso dei passaggi che il prodotto subisce

 

. Il numero di identificazione del

lotto può essere utile ed esempio, per l'individuazione delle partite di prodotto non conformi, da ritirare dal

commercio.

Il Numero di Lotto è leggibile sulla confezione in forma di numero a più cifre o in forma alfanumerica ed è

preceduto dalla lettera "L". I prodotti che sono contraddistinti dal medesimo numero di lotto possiedono le

stesse caratteristiche.

PELLICOLA FLESSIBILE

Protezione degli alimenti confezionati

Lo studio dell’udinese Matteo Gumiero è l’unico fra i progetti italiani di  Ingegneria e Tecnologia alimentare selezionati per il meetic scientifico svoltosi recentemente a Singen, in Germania. Le ricerche di Gumiero vertono su un’innovativa pellicola flessibile che estende la vita commerciale degli alimenti confezionati. Trattasi di film costituiti da minerali inorganici aggiunti a una matrice plastica.

 

La gita che avete sempre desiderato fare! q.b quanto basta organizza per i suoi lettori un tour dei bacari con guida, per il giorno sabato 21 aprile. Quello che avete letto qui sopra è solo un trailer di tutte le cose fantastiche e gustose che Anna Maria Pellegrino ci farà scoprire. Costo 65.00 euro, comprensivo di bacari, ristorante (2 primi, dolce, acqua e vino biologico) e giro guidato. Prenotazione obbligatoria: info@qbfvg.

Pag 62

 

Collaboratori per favore mettili in colonna uno per riga

Hanno collaborato a questo numero:

Tiziana Baita: contitolare Enologica Friulana

 

Tatjana Butul Slow Food Slovenia

 

Arianna Buzzioloblogger, blog Con le Mani nel sacher

 

Luigi Caricato oleologo

 

Claudia Deb cake designer e food writer

 

Savio Del Bianco collaboratore Slow Wine FVG

 

Giorgio Dri curatore per il FVG di Osterie d’Italia

 

Luca Fantoni cavaliere della birra belga

Ennio Furlan Chef Cocorum ed esperto di erbe

 

Marta Omero consulente marketing

 

Maria Cristina Novello blogger blog Udine la mia città e nonna Pina

 

Giuliano Orel biologo marino

Anna Maria Pellegrino blogger blog lacucina di qb

 

Micol Pisa titolare Scuola di cucina Mestoli e Padelle

Max Plett presidente regionale Slow Food

 

Germano Pontoni presidente Unione Cuochi FVG

 

Savioli Liliana  sommelier _

 

Sara Uliana mamma blogger

Aurelio Zentilin biologo marino

Si ringraziano per le foto:

Aurelio Zentilin (pag 28,29,30)

Ennio Furlan (pag 36,37)

Mitja Butul (pag 38,39)

 

 

 

Nel cuore di una città tra fiume, orti e parchi, è stato il progetto vincitore del 1°Festival dei Giardini organizzato a Pordenone per Ortogiardino. Il team composto dagli architetti Sara Casarini, Silvia De Anna, Gianluca Sanguigni e dall'agronoma Chiara Filippetto si è ispirato agli elementi caratteristici della città storica di Pordenone e del suo territorio, con il paesaggio del Noncello e al centro, come una stanza segreta, la città coi suoi edifici, le piazze, le mura.

Giochiamo a vivere una favola?

Il 18 marzo 2012 riapre il Parco delle Fiabe del Castello di Gropparello (PC): ricominciano le avventure, le attività e il divertimento del primo parco emotivo d’Italia

Al grido di “Caricaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!” comincia il 18 marzo 2012 una nuova stagione tutta dedicata ai bimbi e ai sogni ad occhi aperti. Riapre il Parco delle Fiabe del Castello di Gropparello, in provincia di Piacenza, il primo parco emotivo d’Italia. I bambini imparano divertendosi e non c’è niente di più coinvolgente di un’avventura vissuta sulla propria pelle. Così è nata quest’oasi dedicata allo stupore, alla scoperta di meraviglie magiche, alla storia che sa di fiaba e al puro godimento infantile, che coinvolge anche gli adulti. Riaprono i battenti per la gioia di tutti coloro che amano perdersi nei labirinti della fantasia divenuta realtà. Gli intenti che hanno portato alla creazione della struttura sono gli stessi che sorreggono tutte le altre attività didattiche del Castello: il desiderio di far raggiungere al bambino un buon equilibrio, di farlo socializzare, di favorirne la creatività, l’autostima e l’autonomia, di spingerlo a credere in quello che sogna, e di fargli superare le paure in cui, naturalmente, inciampa. E prima di tutto la volontà di farlo divertire moltissimo.

Lo scenario naturale in cui è immersa la struttura è composto di rocce millenarie e alberi secolari. Il bosco è l’habitat che accoglie i giovani avventurieri. Nel bosco ci si perde, si fanno scoperte mirabolanti, animali e persone si tramutano in personaggi veri o inventati. I piccoli, una volta entrati nella magia del parco, indossano cappa e spada e, accompagnati dal Cavaliere Bianco, rivivono l’entusiasmo delle scorribande medievali, combattendo contro gli esseri nascosti negli scuri anfratti della vegetazione: orchi e streghe.  Ad assisterli e a vegliare su di loro ci sono gli altri abitanti del bosco: Fate, Folletti, Elfi, Druidi e poi l’Uomo Albero e l’Uomo Animale. Tutto prende corpo, con la felicità e la leggerezza dei sogni ad occhi aperti, dissolvendo i timori nelle risate e nello stupore che procurano le storie mozzafiato.

La cultura, la meraviglia e il gioco si mescolano in una miscela esplosiva e liberatoria, così come accade con altre esperienze che si possono provare qui a Gropparello: le visite guidate, la sceneggiatura e drammatizzazione della vicenda di Rosania Fulgosio, la giornata Fantasy o l’Assalto al Castello, nel corso del quale i pargoli vengono divisi in un gruppo di assalitori e in uno di difensori e provano il brivido impensabile di tentare la presa del maniero.

Il Parco delle Fiabe è aperto dal 18 marzo al 18 novembre, tutte le domeniche e giorni festivi dalle 10 alle 17, 30 (15 con l’orario solare). Negli altri giorni solo su prenotazione, concordando la data con la segreteria.

 

Per scaricare immagini in alta definizione:

Per informazioni: Castello di Gropparello

Via Roma 84, 20025 – Gropparello (PC)

Tel. 0523.855814

e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

sito web: www.castellodigropparello.it

www.castellodigropparello.com

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MOLLUSCHI

MUSSOLI, CHE PASSIONE!

 

“l’animale di questa conchiglia si attacca ai dirupi, e in particolare alle lor cavità…”

 

Giuliano Orel e Aurelio Zentilin

 

Il Mussolo (Arca noae) Cod. FAO alpha 3 RKQ è un mollusco bivalve edule (commestibile) diffuso in tutto il Mediterraneo, ma pescato soprattutto lungo le coste istriane e dalmate (e apprezzato anche sulle coste italiane dell’Adriatico. Veniva e viene tuttora pescato sui fondi fangosi detritici che si estendono al largo della costa istriana da Punta Grossa a Pola, nel Quarnero, nei canali tra le isole dalmate e al largo della costa friulana nel tratto di mare formato da una lingua di rocce di origine organogena conosciuta, per l’appunto, come “la mussolera”. Il mollusco vive attaccato  al substrato roccioso per mezzo di una struttura  costituita da numerosi filamenti di bisso giustapposti.

I filamenti di bisso formano una sorta di “spoletta” posta a cavallo dei margini distali delle due valve chiuse. Una struttura che abbiamo definito per forma ma soprattutto per il suo utilizzo, anche se con un po’di vergogna per l’indegno paragone, simile alla linguetta di una lattina di bibita. Ecco invece la musicale descrizione sulla “particolarità del peduncolo dell’Arca noae” riportata dall’abate Olivi nella sua Zoologia Adriatica (pag. 116) pubblicata nel lontano 1792: “l’animale di questa conchiglia si attacca ai dirupi, e in particolare alle lor cavità mediante un peduncolo di mezzo pollice di lunghezza sovra tre linee di larghezza di figura romboidale, se non che il lato attaccato al vivente è alquanto maggior dell’opposto. La sostanza verde ed omogenea, della quale è formato cotesto peduncolo, lungi dall’essere setacea è filamentosa, come ordinariamente è quella con cui si attaccano le atre conchiglie, e compatta, quasi solida e stipata; sicchè sembra che il glutine impiegato dall’animale nel formarla sia elaborato diversamente. Aderentissima alle pietre e alle Madrepore, alle quali si attacca, ella abbandona più facilmente, qualora venga strappata, l’animale che l’ha prodotta, che lo scoglio su cui riposa”.

Come si pescano i mussoli

Lo storico strumento di pesca è uno strascico a rete metallica (l’ostregher o la mussolera) il cui bordo superiore è dotato di una pertica che tiene aperta la bocca del sacco, mentre quello inferiore, appesantito da una serie di lastre di piombo, è destinato a scalzare dal fondale di pesca gli agglomerati cui aderiscono i mussoli.

In questi ambienti peculiari per l’Alto Adriatico oltre che Arca noae si trovano anche organismi quali la “sponza” (Microcosmus vulgaris), il “canestrello nero” (Chlamys varia), un particolare “cetriolo di mare” (Cucumaria planci), le “stelle serpentine” (Ophiotrix quinquemaculata, Ophiotrix fragilis).

Curiosità

Insaccati di mussoli

Zone famose per una produzione particolarmente abbondante, erano quelle al largo della costa settentrionale dell’Istria, e quelle tra Salvore e Cittanova. Qui erano particolarmente pescosi i fondali al largo di Punta del Dente, a Sud del Quieto. Zone talmente ricche di mussoli che durante il periodo dell’autarchia, a Salvore e a Umago si tentò addirittura di produrre degli insaccati costituiti dal mollusco cotto e condito con spezie.

 

Gastronomia

Fino alla fine della guerra la maggior parte della produzione andava al consumo diretto, tanto sulle mense familiari quanto su quelle delle osterie più popolari. Il mollusco era, infatti, considerato cibo da poveri. Il metodo di cottura era pressocché unico: dopo un sommario lavaggio, i molluschi erano posti in una larga padella, coperti con un sacco di juta umido e fatti andare a fuoco vivo. Il rilevamento dell’esatto grado di cottura costituiva la parte più delicata dell’operazione. In effetti, una cottura troppo lunga ne determinava una eccessiva disidratazione e un indurimento delle carni, sicché era necessario servire il mollusco non appena i muscoli adduttori collassavano e le due valve si aprivano offrendo un mollusco in cui l’acqua intervalvare era pressocchè tutta raccolta in due sacche che si costituivano tra il mantello (il tessuto del mollusco che produce la conchiglia) e il corpo.

STREET FOOD

Da cibo dei poveri a prelibatezza gourmandise

A Trieste la preparazione dei mussoli era affidata prevalentemente a bancarelle di ambulanti autorizzati cui erano assegnati ben precise postazioni di vendita: nel rione di San Giacomo o Cavana, presso l’Ospedale Maggiore, sulle rive o alla Rotonda del Boschetto. La loro localizzazione coincideva spesso con quella di osterie conosciute per la qualità del loro vino. I molluschi bollenti venivano serviti in numero di cinque o dieci pezzi in ciotoline di legno. Consumata la sua porzione, l’avventore si affrettava ad entrare nell’osteria per l’abbinamento ritenuto più adatto: in genere un bicchiere, anzi un “ottavo” di malvasia. Oggi, con la produzione di mussoli passata da migliaia di tonnellate a decine di tonnellate, quel cibo da poveri è diventato oggetto di culto per pochi buongustai e offerto con comprensibile orgoglio da pochi ristoranti più attenti alle tradizioni locali.

 

Mussolo: simbolo e vanto della cucina triestina e istriana

Cesare Fonda storico e appassionato della cultura enogastronomica locale afferma: “Questi molluschi non solo possono essere considerati in assoluto un piatto tipico triestino, ma forse il più tipico in assoluto. Se esistesse un blasone della cucina nostrana, al centro dovrebbe campeggiarvi un mussolo”. Tipicamente piranese invece la “pasta coi mussoli”: una pasta condita con un ragout di mussoli aperti a vapore, tritati e uniti a un battuto di lardo, con concentrato di pomodoro e sapori. Trattandosi di uno dei piatti istriani di pesca (forse l’unico) in cui un prodotto del mare viene abbinato a un prodotto della zootecnia, esso potrebbe essere assunto a simbolo dell’antica separatezza tra Istria continentale e Istria costiera e dei rapporti che vengono ora invece auspicati tra la costa e i territori all’interno all’insegna dello slogan turistico “castellieri e approdi”.


Sito internet: http://www.laprediletta.it/

SARA ULIANAA tavola si svolge gran parte della nostra vita familaire le cose importanti succedono sempre in cucina  cena di emmaus di Caravaggio alla National gallery di londra la tavola come un teatro che cerca con emozione e la luce la veerità  guardarsi negli occhi attraverso il rito antico e magico del cibo  l’ospitalità sta nel cuore delle cose. Agriturismo e B&B La Prediletta – Motta di Livenza (TV)

Luigi Cattarossi Rosùtis di... Strie(1888)

..îr, sore di un rivâl, in mieç de jarbute
timide e sençe il so zentîl colôr,
hai ciatade une pùare violute
sençe la fuarçe di mandâ il so odôr;
chê viole zentîl jè la stafete
de primevere alegre e benedete.

 

 

 

hiamato finché visse/regnò in quel di Fiandre e di Bramante./Dall'orzo il malto pria di tutto estrasse/ poscia di birra fé l'arte brillante/ tal che li posteri vantasse/ d'aver avuto un Re, Mastro insegnante" (antica ballata popolare tedesca).

La ricetta

Capretto alla birra scura

Ingredienti

per 6 persone: 1/2 capretto, 1 rametto di maggiorana, 1 rametto di prezzemolo,
1 rametto di timo, 3 spicchi d'aglio, 4 pezzi di scalogno, 150 g di burro, paprica,
1 l di birra scura (dunkel tedesca o ale belga), poco Worchester, 1 cucchiaio di miele, 1 dl di olio d'oliva, 2 pezzi di peperoncino, 1 dl di vino bianco, sale e pepe quanto basta

Esecuzione

Sezionare il capretto (spalla, schiena e coscia) tagliando i pezzi in grandezza uguale (questo lavoro può essere fatto dal macellaio). Una volta tagliati i pezzi, in due bacinelle diverse (una per schiena, una per spalla e coscia) mettere a marinare nella birra le carni con tutti gli ingredienti elencati, per circa 2 ore. In forno preriscaldato a 250 gradi, aggiungere dell'olio alla placca e infornare i pezzi di carne di spalla e coscia senza aggiungere la marinata. Cuocere per circa 20-25 minuti girando i pezzi ogni tanto. Infornare infine i pezzi della schiena, anche questi ultimi sgocciolati, e lasciar cuocere il tutto per altri 15-20 minuti. Togliere la carne, metterla in una grande pentola e fare in modo che la salsa si addensi. Questo procedimento chiederà circa 5 minuti.
Unire le erbette aromatiche al burro nocciolino prima di servire. (ricetta suggerita dalla birreria Gambrinus)

 

 

http://www.pasticceriafilippi.it/it/pasqua/100percentoolio/

 

 


De cepis medici non consentire videntur.
Chorericis non esse bonas dicit Galienus.
Phlegmaticis vero multum docet esse salubres.
Praesertim stomacho: pulcrumque creare colorem.
Contritis cepis loca denudata capillis.
Saepe fricans, poteris capitis reparare decorem.

Sull’oprar delle cipolle
disputar sempre si volle.
Da Galien però si scrive
che ai biliosi son nocive;
ma salubri poi ben bene
ai flemmatici le tiene,
specialmente pel ventriglio,
e per dare un bel vermiglio.
Con cipolle spesso i siti
dei capei nudi e sguarniti
stropicciando, ha l’opra loro
reso al capo il suo decoro.

 

BACARI TOUR

Un pomeriggio nella Venezia “sconta” tra cuor leggero e scarpe basse

Una prospota affasdcinantee imperdibile: un tour nella veenzia dei veneziani con la guida

ANNA MARIA PELLEGRINO

 

Si raggiunge Venezia in treno o in autobus di linea (parcheggiano in terra ferma) o in auto (in questo caso programmate un po’ di tempo in più per parcheggiare). Dalla Stazione Santa Lucia, ci si dirige verso la Venezia dei Veneziani, destinazione Rialto, per giungere in zona Pescheria (che purtroppo chiude alle ore 12.00 di tutti i giorni ed è chiusa il lunedì). Perciò il pesce lo si gusta già cotto, grazie ai cicheti dei “Do Mori”, l’osteria più antica di Venezia (data 1462) nonché una delle più affascinanti, un corridorio tra due calli difficilmente localizzabile per chi non è del luogo. Dopo il battesimo con il primo cibo di strada che l’occidente abbia conosciuto (affermazione assolutamente di parte!) ci si dirige verso il famoso “chiosco” di Santa Maria Formosa, situato in un crocevia di calli che vede l’incessante incrociarsi di veneziani più o meno affaccendati. Per sorseggiare uno spritz in formato “normale” per i locali e formato “flebo” per i foresti. Ascoltando i silenzi che le calli e i campielli sconosciuti ai turisti sanno donare, si arriva un altro bacaro storico, “Al Ponte”, attraversando San Zanipolo (nickname che deriva dalla tipica contrattura che i veneziani amano applicare ai santi e ai fanti!). E lì tutti ad ammirare l’ingresso più bello del mondo, se si considera che si tratta di un ospedale civile (visitabile fino all’inizio degli ambulatori e fino alle 21.00 di ogni giorno), trattandosi infatti della Scuola Grande di San Marco, una delle sei scuole devozionali “maggiori” della Serenissima). Sosta per una classica “ombra”, l’unità di misura preferita dal Bacco lagunare, caratterizzata anche dal tipico bicchiere svasato in vetro, che assomiglia (incredibile!) a quello in cui ancor oggi, anche nei Balcani, viene servito il caffè turco.

Tra chiacchiere e foto, dopo aver attraversato il campo dei Miracoli, un vero e proprio gioiello, uno dei primi esempi di arte rinascimentale a Venezia e anche uno dei primi esempi di “costruzione chiavi in mano” perfettamente riusciti, si giunge appunto all’Antica Adelaide, con la sua stanza del latte, quella in cui le donne di Campalto portavano dalla terraferma il latte delle mucche che allevavano e nella quale si riposavano prima di lasciare Venezia per ritornare a casa. Sosta ristoratrice con bigoli al torchio e scampi freschissimi, risotto al nero e crudi marinati con aceti preparati personalmente dal titolare Alvise. Non può mancare una tappa Al Paradiso Perduto, storico locale, situato in fondamenta della Misericordia, che vide concretizzarsi le canzoni dei Pitura Freska tra le quali la mitica “Pin Floi”: “Persi par persi, ‘ndemo a consolarse, ‘ndemo al Paradiso a ‘nbriagarse”. Vi assicuro che toglierete le scarpe alle 3 del mattino con il cuore ricco di saperi e di sapori. E dopo poche ore di sonno già pronti per un nuovo tour alla ricerca delle perle nascoste di Venezia, come quegli Orti Veneziani che sanno donare primizie e bontà apprezzate dai buongustai e diventati presidi SlowFood.

 

 

BACARI TOUR intero

Un pomeriggio nella Venezia “sconta” tra cuor leggero e scarpe basse

 

Si raggiunge Venezia in treno o in autobus di linea (parcheggiano in terra ferma) o in uato, in questo caso programmate un po’ di tempo in più per parcheggiare. Dalla Stazione Santa Lucia, ci si dirige verso la Venezia dei Veneziani, destinazione Rialto, attraverso Capo San Giacomo dell’Orio (nelle vicinanze del Museo di Storia Naturale), Santa Maria Mater Domini, San Cassiano per giungere in zona Pescheria (che purtroppo chiude alle ore 12.00 di tutti i giorni ed è rigorosamente chiusa al lunedì).

Di conseguenza non si acquista il pesce ma lo si gusta già cotto, grazie ai cicheti dei “Do Mori”, l’osteria più antica di Venezia (datata 1462) nonché una delle più affascinanti, un corridorio tra due calli difficilmente localizzabile per chi non è del luogo (e forse non vuole proprio farsi scoprire).

 

Dopo il battesimo con il primo cibo di strada che l’occidente abbia conosciuto (affermazione assolutamente di parte!) un po’ più allegri e sciolti ci si dirige verso il famoso “chiosco” di Santa Maria Formosa, situato in un crocevia di calli che vede l’incessante incrociarsi di veneziani più o meno affaccendati. Il bello è infatti, davanti ad uno spritz in formato “normale” per i locali e formato “flebo” per i foresti, sedersi a uno dei tavolini rigorosamente ed esclusivamente all’aperto, circondati da curiosi piccioni, per osservare l’energia della tipica “Camminata Veneziana” (e vi prego di far attenzione ai polpacci dei locali che avrebbero fatto invidia a Claudio Gentile).

 

Un po’ più sciolti si raggiunge, ascoltando i silenzi che le calli ed i campielli sconosciute ai turisti sanno donare, un altro bacaro storico, “Al Ponte”, attraversando campo San Giovanni e Paolo (alias San Zanipolo, nickname che deriva dalla tipica contrattura che i veneziani amano applicare ai santi e ai fanti!). E lì tutti ad ammirare l’ingresso più bello del mondo, se si considera che si tratta di un ospedale civile (visitabile fino all’inizio degli ambulatori e fino alle 21.00 di ogni giorno), trattandosi infatti della Scuola Grande di San Marco (una delle sei scuole devozionali “maggiori” della Serenissima).

 

“Al Ponte” è un’osteria più recente (be’, con un buon numero di decenni alle spalle) ma anch’essa molto amata ai veneziani che si ritemprano con la classica “ombra”, l’unità di misura preferita dal Bacco lagunare, caratterizzata anche dal tipico bicchiere svasato in vetro, che assomiglia (incredibile!) a quello in cui ancor oggi, anche nei Balcani, viene servito il caffè turco. Ma voi davvero non sapete perché si chiama “ombra”? J

 

Tra chiacchiere e foto la tappa dell’Antica Adelaide arriva in un battibaleno soprattutto se ci si ferma per una visita alla Chiesa dei Miracoli, situata nell’omonimo campo dei Miracoli. Si tratta di un vero e proprio gioiello, uno dei primi esempi di arte rinascimentale a Venezia ed anche uno dei primi esempi di “costruzione chiavi in mano” perfettamente riusciti. Un mercante lombardo, Antonio Amadi, possedeva un quadro, una Madonna con Bambino, ritenuto miracoloso e volle costruirci una chiesa attorno. Si affidò alla scuola di Pietro Lombardo che, assieme ai figli Antonio e Tullio, dal 1481 al 1489 diede vita al progetto, alla costruzione ed alla decorazione di questo autentico capolavoro.

E così con il cuore carico di decorazioni marmoree che sembrava cesellate da Benvenuto Cellini in persona si giunge appunto all’Antica Adelaide, osteria riaperta da Alvise e riportata al suo splendore caratteristico dopo anni di incuria. Si tratta di una delle osterie veneziane più cariche di storia, con la sua stanza del latte, quella in cui le donne di Campalto portavano dalla terraferma il latte delle mucche che allevavano e nella quale si riposavano prima di lasciare Venezia per ritornare a Campalto, via mare. Allora il Ponte della Libertà non era ancora stato costruito!

Da provare i bigoli al torchio con scampi freschissimi, il risotto al nero e i crudi marinati con aceti preparati personalmente da Alvise.

 

Dall’Antica Adelaide al punto di partenza il tratto più breve è la Strada Nuova, che viene normalmente percorsa dai turisti… che sarebbe meglio non percorrere, preferendo il tragitto che attraversa il Ghetto (Nuovo e Vecchio), per giungere Al Paradiso Perduto, storico locale, situato in fondamenta della Misericordia, che vide concretizzarsi le canzoni dei Pitura Freska tra le quali la mitica “Pin Floi”, dedicata appunto al concerto-disatro che i Pink Floyd tennero in laguna nel 1985. Ricordate le parole? “Persi par persi, ndemo a consolarse, ndemo al Paradiso a inbriagarse”.

 

Vi assicuro che toglierete le scarpe alle 3 del mattino con il cuore ricco di saperi e di sapori. E dopo poche ore di sonno già pronti per un nuovo tour alla ricerca delle perle nascoste di Venezia, come quegli Orti Veneziani che sanno donare primizie e bontà apprezzate dai buongustai e diventati presidi SlowFood.

 

Anna Maria Pellegrino

 

 

 

 

ASINI

 

Dal 22 al 27 aprile si svolge alla fortezza di Santa Margherita in comune di Moruzzo il corso di formazione di primo livello in attività di mediazione con l’asino (onoterapia). Info: Tel 377 1678219 www.amiciditoto.fvg

 

 

gent.ma Fabiana, ti mandoquello che mi hanno passato dal cantinone. prova avedere se sono informazioni che ti possono andar bene..ma poi il pezzo lo scrivi tu o lo faccio io? x le foto te le mando domattina, ieri la macchina si è inceppata.. a presto.. Mauro

 

 

2) DESCRIZIONE DEL PROGETTO

 

Mission

L'obiettivo dei quattro soci è quello di ricreare l'ambiente della vecchia osteria friulana in una antica cantina con la volta in mattoni. In questo luogo confortevole, nel quale è possibile poter degustare dei vini e delle veloci pietanze di qualità ad un prezzo “onesto”, si vuol creare l'atmosfera per accogliere degli ospiti, più che dei clienti.

Il mix di prodotti offerti parte da un vino da “primo prezzo” fino ad arrivare alla bottiglia d'annata. Al primo viene abbinato uno spuntino veloce. Per gli altri si propone l'abbinamento ad un determinato formaggio, piuttosto che salumi o altro.

L'offerta è innovativa nella sua semplicità. Chi normalmente frequenta questo genere di locali non è quasi mai da solo. Avremo quindi il listino “classico” e quello con l'offerta per due o più commensali, tutto compreso.

 

Il locale

Al piano terra di un palazzo in stile barocco quattro-cinquecentesco, al di fuori della cinta murata, nel cuore del centro storico della medievale Valvasone, in provincia di Pordenone, assoggettato ai vincoli dalla Soprintendenza dei Beni Culturali del Friuli Venezia Giulia, si trova la vecchia cantina, o meglio, come chiamata dalla proprietà, il Cantinone.

Si accede da Via San Pietro, difronte all'omonima chiesetta. Sotto un porticato che costeggia l'intera via, scendendo un paio di scalini si entra in un ambiente contraddistinto da una splendida volta in mattoni. Il pavimento in palladiana valorizza l'aspetto architettonico. L'arredamento è molto semplice: piccoli tavoli in arte povera, sedie di legno impagliate, un lungo bancone su cui troneggia una splendida e rossa Berlkey. La luce del neon che, a vela, illumina i mattoni fatti a mano e i piccoli abat-jour sui tavolini creano un'atmosfera magica. Un sottofondo musicale jazz dà quella sorta di calore che avvolge l'ospite e lo fa sentire a casa propria. Alcune mensole con dei libri di cucina, altri trattanti la lavorazione del vino e della birra danno quel tocco “culturale” all'ambiente, ma senza appesantirlo. I grandi calici di cristallo per la degustazione dei rossi in barrique, i flut e le coppe, attraggono l'attenzione del visitatore.

 

Prodotti offerti

Prima di analizzare nel dettaglio il prodotto tangibile, si vuole porre l'attenzione sull'aggregato complesso contraddistinto anche dagli attributi intangibili e sul suo valore d'uso e simbolico.

Si pensi all'aria che si respira entrando a Valvasone e all'atmosfera che avvolge l'ospite che scende i due scalini per entrare nel vecchio locale, nella vecchia cantina.

Parafrasando il Rulliani (2004) “il valore di un prodotto è sempre meno legato alle sue qualità materiali ... e dipende sempre più dal significato (simbolico, emotivo, identitario o altro) che il consumatore attribuisce all'oggetto acquistato”.

Analizziamo ora i prodotti che vengono divisi in due macro aree: da una parte vini e birre, dall'altro, più in generale, il settore alimentare.

Prima macro area: categoria vini e birre.

Nella primaria categoria dei vini, troviamo due sotto categorie: i rossi e i bianchi. A loro volta i vini rossi faranno parte della sottospecie “giovani” o “da invecchiamento”. I vini bianchi si distinguono tra “fermi” e “frizzanti”.

Si offre un vino definito da “primo prezzo” con le seguenti caratteristiche: alla spina, un €uro al calice, proposto anche in caraffa da quarto, mezzo o da litro. La selezione di vini elenca una scelta fino ad arrivare a bottiglie di valore elevato. Importante è il giusto mix tra le varie categorie e sottospecie. Tutte hanno un occhio di riguardo per gli abbinamenti con i prodotti della seconda macro area, quella alimentare.

La categoria birre, di secondaria importanza, evidenzia la birra chiara, alla spina e un mix di altre selezioni in bottiglia. Questa categoria mira a coprire le richieste di quei pochi ospiti che, entrando in un'enoteca, chiedono una birra.

 

Seconda macro area: alimentare.

Anch'essa viene scissa in due categorie: piatti freddi e caldi caldi.

Qui viene data primaria importanza alla categoria dei piatti freddi.

Quelli che in francese vengono generalmente definiti come “charcuterie” costituiscono la base dell'offerta alimentare dell'ambiente. Questa è costituita da prodotti tipici locali, quali il prosciutto di San Daniele, di Sauris e i salami nostrani. Attraverso la collaborazione con aziende agricole locali si propone un prodotto proveniente direttamente dall'allevamento e dalla successiva diretta lavorazione, riuscendo a curare una sorta di filiera locale.

Il valore aggiunto della “charcuterie” è costituito dalla rotazione, settimanale piuttosto che mensile, dei prodotti provenienti da altre regioni d'Italia e anche dall'estero.

Viene proposta la serata a tema del “jamon serrano”, prosciutto tipico spagnolo, oppure quella dello “speck tirolese”, fino ad arrivare al “foie gras” francese.

I piatti fretti vengono serviti su un tagliere di legno.

Il piatto base è costituito dal “monoprodotto”, venduto a peso, ovvero: prosciutto, salame, speck, formaggi, ecc..

A ciò si aggiungano quattro piatti: Friulano, Austriaco, Marchigiano e Calabrese composti da un mix di prodotto tipici della zona di riferimento, ciascuno del peso non superiore a 150 grammi e con un prezzo di vendita indicativo dai 5 ai 7 Euro.

Categoria dei piatti caldi.

Viene creato uno standard di offerta che ha come punto di riferimento la porzione di frico da servire velocemente, caldo, magari trattato al pari dello stuzzichino abbinato al vino rosso precedentemente individuato.

Alternativa a questo piatto caldo potrà essere un primo di lasagne – ad esempio -, possibilmente già preparato, da servire riscaldato.

Sempre valida la pasta con due proposte di sugo: pomodoro e ragù, con l'eventuale variante di stagione: funghi piuttosto che verdure, ecc..

In ogni caso la gamma e la preparazione del listino viene rimandata ad una valutazione più appropriata, sviluppata compatibilmente alle caratteristiche del personale dipendente.

 

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Trota: la regina di San Daniele

Trota d'epocaIn un epoca che tende ad omologare i gusti e a dimenticare le tradizioni, la FriulTrota difende la tipicità e la genuinità della trota affumicata di San Daniele.

Quando, oltre quarant’anni fa, immise i primi avannotti nel suo laghetto, la famiglia Pighin non avrebbe mai immaginato che la sua trota sarebbe diventata così apprezzata.

All’inizio era solo un hobby. Era il piacere di stare all’aria aperta, a contatto con la natura, nel “loro” Tagliamento, del quale conoscevano, fin da ragazzi, ogni segreto. Dalla loro passione nacquero trote vivaci, genuine, con carni compatte, molto apprezzate da chi aveva la fortuna di assaggiarle. E così il laghetto si trasformò piano piano in un allevamento particolare, che manteneva le caratteristiche ambientali originarie: tanta acqua fresca, bassa densità, alimentazione non forzata, rispetto dei tempi naturali di crescita.

Questo fu solo il primo passo, seguito a breve da un’altra felice intuizione: “abbiamo una trota eccezionale, ma non basta, dobbiamo offrirla già pronta e senza spine; oggi pochi hanno tempo e voglia di pulire o cucinare le trote in casa”. Nessuno ci credeva, alcuni li sconsigliarono, ma i Pighin accettarono la sfida.

Con l’aiuto di un vecchio amico, esperto affumicatore, crearono la “Regina di San Daniele”, la trota salmonata affumicata considerata da molti una validissima alternativa al salmone.

La ricerca dell’ equilibrio dei profumi e dei sapori è il filo conduttore che permise poi di creare nuove specialità a base di trota  tra i quali: il “Fil di Fumo”, delicato filetto affumicato a caldo, le uova di trota, i guancialetti di trota,  il carpaccio e un curioso salame di trota, detto anche il salame di venerdì.

Le varie fasi di trasformazione, pur adeguandosi alle severe normative comunitarie, vengono tutt’oggi effettuate seguendo antichi metodi artigianali, senza fare uso di coloranti e conservanti.

La filosofia aziendale si riassume in un detto coniato in azienda: “una trota per essere buona deve essere una buona trota”. Meno lapalissiano di quanto sembri, questo motto testimonia la scelta dell’azienda di perseguire la qualità sotto tutti gli aspetti e di difendere la ricchezza dei gusti e dei sapori tipici.

Nel nuovo spaccio aziendale troverete tutte le specialita’ di Friultrota, i filetti pronti da mangiare, al naturale, alle erbe, agli agrumi, e poi ancora l’aringa sciocca, l’orata, il branzino, il tonno ed il pesce spada, i condimenti per la pasta e molti altri prodotti, tutti rigorosamente lavorati a mano.

E per Natale e’ disponibile un’ampia proposta di confezioni regalo per tutti i gusti e desideri.

Gli appassionati di cucina troveranno un ricco calendario di corsi e di laboratori per utilizzare al meglio i profumi e le fragranze delle specialita’ Friultrota

Tutto questo da Friultrota a San Daniele del Friuli, nella zona dei Prosciuttifici. Per informazioni: telefonare al numero 0432 956560.

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Anche i pesci sono tarocchi

Boom di pesci taroccati:  così l´import senza controlli stravolge la nostra tavola. Due su tre dall´estero e lo squalo spacciato per spada. Un bel gambero rosso comprato su una bancarella di pesce nel porto di Mazara del Vallo. Un polpo imperdibile seduti ai tavoli della sagra più famosa d´Italia, quella di Mola di Bari. Oppure un filetto di cernia indimenticabile a Gallipoli. Nelle guide turistiche raccontano che ci sia soltanto una cosa migliore di un bagno nel mare italiano. Mangiarlo. Evidentemente però in questi anni deve essere cambiato qualcosa perché il pesce venduto da Palermo a Milano tutto è tranne che un prodotto nostrano. Il gambero di Mazara arriva infatti dal Mozambico. Il polpo di Mola dal Vietnam. Il filetto di cernia di Gallipoli (che in realtà era pangasio) dal fiume Mekong. E non si tratta di casi isolati. Oggi in Italia la pesca è uno dei settori più aggrediti dalle importazioni selvagge dall´estero, in particolare dai paesi asiatici. E soprattutto dalla sofisticazione alimentare. «Due terzi del pesce servito sulle tavole italiane è finto, taroccato» denuncia la Coldiretti. «Il 30 aprile l´Italia ha mangiato l´ultimo pesce del Mediterraneo» denunciano Nef e Ocean2012, organismi internazionali del settore. «Dal primo maggio tutto quello che arriva sulle tavole italiane non è prodotto nostrano». Ma davvero è così? Che pesce compriamo ai mercati e mangiamo al ristorante? Da dove arriva? Chi lo pesca? E soprattutto: fa male alla nostra salute?

Per capire l´entità del fenomeno forse è bene cominciare dai numeri. Lo scorso anno in Italia sono state commercializzate dice l´Irepa - l´Istituto di ricerche economiche per la pesca e l´acquacoltura - circa 900mila tonnellate di pesce per un ricavo di circa 1.167 milioni di euro. Bene: di tutto il pesce messo in commercio, soltanto 231.109 tonnellate erano state pescate nel mare italiano. Un terzo, appunto. Tutto il resto arriva dall´estero. Il problema è che molto spesso, anzi quasi sempre, denunciano le associazioni di categoria e confermano le forze di polizia che da Milano a Palermo continuano a fare sequestri e aprono nuove inchieste, il pesce che arriva dall´estero non è di buona qualità. Spesso è pericoloso perché non tracciato e non tracciabile. E soprattutto viene venduto per quello che non è. È finto. Non potevano credere ai loro occhi gli uomini della Capitaneria di porto di Mazara quando, sulle bancarelle della marina più grande d´Italia, hanno trovato i gamberetti rossi che arrivavano direttamente dal Mozambico. E nonostante questo spacciati dai pescatori per italianissimi. A Gallipoli, invece, la Finanza in mezzo al mercato del pesce all´interno del porto - meta di turisti da tutta Italia per il folclore dei pescatori che rientrano dal mare e vendono il prodotto appena tirato su con le reti - ha sequestrato una bancarella che vendeva esclusivamente pesce taroccato: di fresco aveva soltanto alici e sarde, i prodotti cioè che costano di meno. Tra i falsi più diffusi c´è poi il pangasio, un pesce pescato nel Mekong, che viene abitualmente venduto come fosse un filetto di cernia. Oppure nelle fritture servite nei ristoranti di casa nostra, il polpo non è polpo. O meglio, non è del Mediterraneo ma arriva direttamente dal Vietnam. Era asiatico, per esempio, anche il polpo venduto lo scorso anno nella sagra di Mola, in provincia di Bari, che per rendere l´idea è come comprare il tartufo di Avellino ad Alba. Frequente anche il caso del merluzzo fresco, o presunto tale: dicono i sequestri dei Nas che spesso si tratta di pollak stagionato. Tra i pesci più "copiati" c´è il pesce spada che altro non è che trancio di squalo smeriglio. C´è anche il caso di baccalà, in realtà filetto di brosme, oppure del pagro fresco venduto come dentice rosa. E ancora il pesce serra al posto delle spigole, il pesce ghiaccio al posto del bianchetto, la verdesca al posto del pescespada, l´halibut atlantico al posto delle sogliole. Infine, gli spaghetti con le vongole: 75 per cento di possibilità che siano state pescate in Turchia. Ma perché questa invasione? Chi ci guadagna?

«Sicuramente non noi» spiega Mauro Manca, presidente dell´Associazione Acquacoltori, la costola che si occupa di pesca della Coldiretti. «Basti ricordare che nel giro di due anni il settore ha perso il 12 per cento della produzione e l´11 per cento dei ricavi e che nei primi mesi dell´anno la quota di importazione continua a salire in maniera importante: da oggi fino alla fine dell´anno non si venderà più pesce italiano». Numeri che vanno a braccetto anche con il crollo dei pescatori. Secondo il Centro Studi Lega Pesca sono rimasti solo 28.542 pescatori, il 61,4 per cento concentrato nelle regioni meridionali e insulari. L´età media generale oscilla tra i 41 e 43 anni solo grazie all´ingresso di giovani immigrati che, per esempio, hanno ormai l´esclusiva a Mazara come a Manfredonia.
Tornando al business, gli affari sono unicamente nelle mani degli importatori, i veri padroni della pesca in questo momento in Italia. Si tratta di vecchi armatori riciclati e, come stanno provando a raccontare due indagini della procura di Lecce e di Palermo, in alcuni casi anche con infiltrazioni della criminalità organizzata che come al solito ha messo gli occhi su un business importante. Per comprendere quanto conviene importare il pesce dall´estero è bene guardare ancora una volta i numeri. Come ha ricostruito la Guardia di Finanza in un´inchiesta a Bari, il costo del pesce taroccato è sino a otto volte inferiore rispetto all´originale. Il caso più eclatante è probabilmente quello dello squalo smeriglio, difficilmente commerciato in quanto poco richiesto dal consumatore. Il suo prezzo di acquisto in fattura era di 2,50 euro al chilo. Veniva invece venduto come pesce spada fresco a 19 euro. «In questo tipo di business un ruolo di particolare importanza - continua Manca - è quello della ristorazione che, forte di un dato statistico che attesta nel 75 per cento circa il consumo extra domestico di prodotti ittici, deve garantire anch´essa un livello accettabile di trasparenza nei confronti del consumatore, in modo da favorire ancora una volta la scelta consapevole di un prodotto italiano, rispetto a uno di provenienza estera, elemento a oggi non garantito nella maggioranza dei casi». «Con tre piatti di pesce su quattro che vengono dall´estero all´insaputa dei consumatori occorre mettere in campo delle iniziative capaci di riportare sulle tavole il prodotto made in Italy che è sicuramente più sano e gustoso degli ormai onnipresenti gamberetti asiatici o del famigerato pangasio», spiega Tonino Giardini, imprenditore marchigiano e presidente di Impresa Pesca Coldiretti. Non è un caso che nel 17 per cento dei casi infatti l´etichettatura obbligatoria sul pesce servito nei ristoranti è assente, nel 38 per cento dei casi è incompleta. Ma fa male soltanto all´economia l´importazione del pesce straniero?

IL RISCHIO SANITARIO
Il quadro che proprio nelle scorse settimane ha tracciato il Rasff (Rapid alert system for Food and Feed), l´agenzia di sicurezza alimentare dell´Unione Europea, non è affatto tranquillizzante. Nella relazione viene segnalato come siano stati trovati batteri in molluschi italiani, cadmio in calamari congelati che arrivavano dalla Spagna, salmonella brunei nella salsa cocktail a base di gamberi congelati provenienti dal Bangladesh e confezionata in Italia, infestazione da larve di nematodi in nasello congelato dalla Spagna, mercurio in filetti congelati di squalo blu e pesce spada sotto vuoto dalla Spagna. Insomma un elenco infinito di porcherie che arriva come pesce prelibato sulle tavole degli italiani. A preoccupare gli esperti c´è poi in particolare il pesce che arriva dal Vietnam, dove peraltro è permesso un trattamento con antibiotici che in Europa è vietato perché pericoloso per la salute.
Ma il rischio non è soltanto quello dell´importazione. Uno dei problemi arriva dall´utilizzo massiccio di alcuni additivi chimici che i pescatori usano per "rinfrescare" il pesce, perché danno lucentezza al prodotto non fresco. Le conseguenze sono incredibili. Ecco per esempio cosa è accaduto al professor Gagliano Candela, tossicologo, docente universitario e consulente di decine di procure italiane. «Avevo comprato il tonno, come prodotto freschissimo, in una pescheria. Per caso ho spento la luce in cucina e il mio tonno è diventato fluorescente. L´effetto è dovuto - spiega - a un additivo utilizzato per sbiancare il pesce e renderlo brillante. Il principio è lo stesso impiegato per i detersivi delle camicie, quelli che restituiscono brillantezza ai colori». Uno degli additivi più usati, nonostante sia vietato in Italia, è il cafodos. I carabinieri del Nas lo sequestrano in continuazione in tutta Italia. Di per sé non è molto tossico ma può essere dannoso se viene ingerito. «Il pesce - spiega il professor Alberto Mantovani, tossicologo del dipartimento di Sanità alimentare e animale dell´Istituto superiore di sanità - e in particolare alcune specie come il pesce azzurro o il tonno, rilascia istamina in quantità sempre maggiori con il tempo. Mangiando quindi pesce vecchio si ingeriscono alte quantità di istamina che possono provocare un avvelenamento acuto. I rischi sono quelli di un´allergia violenta - continua - o di problemi più gravi per alcuni pazienti, come i cardiopatici». Proprio a Bari, sono finite in ospedale una decina di persone dopo aver mangiato alici al cafodos. E un´altra inchiesta è partita in seguito alla denuncia di un allergico che ha avuto una crisi per colpa di pesce azzurro ormai vecchio. Ma l´importazione selvaggia sta facendo soffrire il nostro mare?

I DANNI ALL´ECOSISTEMA
Sì, a credere agli esperti. La colpa è ancora una volta dei grossisti che oltre a far arrivare il pesce da Cina, Vietnam o Indonesia, hanno cominciato ad allevarlo. Le guardie costiere hanno per esempio lanciato l´allarme per il granchio cinese, considerato forte e aggressivo, in grado di impedire la crescita degli altri crostacei e di altre varietà nell´habitat in cui si riproduce. In sostanza sta distruggendo altre specialità. Esiste poi un paradosso che sta conoscendo il popolo del Mediterraneo. Un terzo del pesce che viene pescato viene ucciso e ributtato in mare perché la sua commercializzazione non è considerata conveniente. «Il fenomeno è sempre più frequente» spiega Angelo Cau, docente di biologia marina all´università di Cagliari in una relazione a un convegno specializzato. «Pescando a 400 metri di profondità si butta in mare il 60 per cento del pescato. Pescando a 200 metri di profondità si può arrivare a buttare in mare anche più del 90 per cento del pescato. In media si spreca un terzo di tutto ciò che finisce nelle reti e quattro specie su dieci non vengono commercializzate pur avendo le carte in regole per essere vendute. «I nostri pescatori il pesce lo porterebbero volentieri a terra» osserva Ettore Ianì, presidente di Legapesca. «Ma il problema è che nessuno lo compra: costa troppo, ha dimensioni ridotte. Insomma non è concorrenziale con il prodotto importato dall´estero». In fondo, non è poi così lontano il Mozambico. Fonte: GIULIANO FOSCHINI - la Repubblica | 29 Luglio 2011

 

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